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C’è qualcosa di profondamente inquietante nel modo in cui la creazione viene svuotata del suo significato. Sempre più spesso, non è il valore intrinseco di un’opera a determinarne il successo, ma l’immagine che riesce a costruire attorno a chi la firma. Il talento diventa secondario rispetto alla percezione, il contenuto viene sacrificato in favore di una narrazione che mette al centro l'autore anziché ciò che viene creato. Giovane, bello, di successo: è questo che conta. Ma cosa rimane quando il sipario cala? Quando il rumore svanisce e tutto ciò che resta è l’opera, fragile e spoglia, incapace di reggersi sulle proprie fondamenta?
GOLD DIGGER nasce da questo senso di smarrimento. È il primo capitolo di un percorso più ampio, un’esplorazione che proseguirà con la collezione successiva. Qui siamo immersi nel sonno della ragione, in una luce dorata che non illumina ma acceca. Il riflesso brillante dell’ottone inganna, fa credere che sia oro, ma la verità è un’altra. Si può fingere di essere qualcosa che non si è, si può adornare il vuoto con un bagliore seducente, ma alla fine ciò che è privo di sostanza resta tale. Il riconoscimento sociale, l’adulazione, l’hype: tutte queste cose promettono di colmare il nulla, ma non fanno che renderlo più evidente.
Le spille dorate, applicate su superfici piatte e monocromatiche, sono il simbolo di questa illusione. Simili a medaglie al valore, sembrano custodire un senso profondo, ma in realtà non sono altro che decorazioni vuote. Esistono solo per essere viste, per riflettere la luce e attirare attenzione, proprio come una moda che ha smarrito il suo scopo e si alimenta esclusivamente di status e percezione. In questa dinamica, chi crea non è più un artista, ma un prodotto. Il suo valore non è misurato in base a ciò che trasmette, ma a quanto riesce a far parlare di sé.
Questa collezione è una critica, ma anche un grido di frustrazione. Il desiderio di bellezza è stato corrotto dalla competizione, dalla necessità di apparire più che di esprimere. Eppure, la moda e l’arte non dovrebbero essere una corsa per il riconoscimento. L’unica vera gara è con noi stessi, con la profondità del nostro pensiero, con la sincerità delle nostre scelte. GOLD DIGGER è il primo passo per riprendersi il senso della creazione. Perché creare non deve essere un mezzo per esistere agli occhi degli altri, ma un atto necessario per dare voce a ciò che sentiamo dentro.